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22 – 23 – 24 – 25 luglio 2021 alle ore 21 / Museo Lapidario Maffeiano

TITUS

La dolorosissima tragedia romana
di Tito Andronico
da William Shakespeare
adattamento e regia Piermario Vescovo
figure e costruzione Antonella Zaggia

con Bob Marchese – Narratore
e con Silvia Brotto, Ludovica Castellani, Michela Degano, Manuela Muffatto, Marta Panciera, Isabella Sponchiado, Marika Tesser, Antonella Zaggia
sartoria Caterina Volpato
luci Nicola Fasoli
assistente alla regia Michela Degano
coproduzione Fondazione Atlantide Teatro Stabile di Verona / Estate Teatrale Veronese
si ringraziano Teatro a l’Avogaria – Venezia, Istituto Italiano di Cultura – New York

L’idea di mettere in scena Titus Andronicus di Shakespeare si è affacciata qualche anno fa, a Verona, durante un convegno, al Teatro Filarmonico, guardando allo spazio esterno. Un relatore raccontava che il grande “antiquario” Scipione Maffei faceva iniziare la storia d’Italia dall’età dei Goti e dalla dissoluzione combinata all’eredità romana antica: non l’Impero Romano che finisce o i “barbari” che lo fanno cadere, ma una complessa mescolanza culturale di classico e barbarico.
Fuori dal giardino-lapidario, a pochi metri, sul portone d’ingresso da piazza Bra, il busto di Shakespeare, il più grande drammaturgo europeo, attratto dall’Italia e da Verona, le cui opere si cominciavano a leggere nell’Europa continentale proprio nel tempo di Maffei.

L’immaginazione medievale e dei tempi ancora seguenti pensava la tragedia antica, in particolare quella di Seneca quando non si conoscevano i tragici greci, come una pubblica lettura fatta dal tragedo, accompagnata da azioni di visualizzazione in forma di pantomima. Quello che in Shakespeare, da Amleto a Pericle principe di Tiro, e nel teatro elisabettiano in genere, si definisce con la parola dumb show. Forma evocata peraltro proprio in uno dei momenti di estrema crudeltà di Titus Andronicus, di fronte a Lavinia, a cui sono state tagliate le mani e strappata la lingua:

Or shall we cut away our hands like thine?

Or shall we bite our tongues and in dumb shows

 pass the remainder of our hateful days?

(O dovremo amputarci come te le mani?

O dovremo strapparci le lingue e in pantomime

passare il resto dei nostri giorni pieni d’odio?)

Lavinia non può parlare e raccontare la violenza che ha subito e lo fa sfogliando con i moncherini un libro, il più tragico della letteratura di tutti i tempi: Le metamorfosi di Ovidio, il cui titolo è dichiarato al vecchio Tito da suo nipote Lucio:

TITUS – Lucius, what book is that she tosseth so?

LUCIUS – Grandsire, ‘tis Ovid’s Metamorphoseos, my mother gave it me.

(TITO – Lucio, che libro è quello che scuote così?

LUCIO – Nonno, sono Le Metamorfosi di Ovidio, che mia madre mi ha lasciato.)

Abbiamo dunque immaginato un Narratore leggere da un libro ed evocare una storia antica, piena di crudeltà e orrore, come facevano gli aedi e i cantori dell’epica (ma anche come accade nel teatro del Novecento, per esempio col Cantore del Cerchio di gesso del Caucaso di Brecht, che fa nascere uno spettacolo da un logoro libretto di fronte a un piccolo gruppo di spettatori, che il pubblico reale vede a propria volta ascoltare sul palco). Dal libro i vari personaggi si formano “in figura”: un gruppo di attrici-manovratrici animano a vista “fantocci”, o burattini, dando voce, volto e carne a questo racconto che si fa teatro. Il pubblico comprenderà poi con quale dei personaggi, dalla distanza iniziale, il Narratore finisca con l’identificarsi, in una prospettiva partecipe e dolente.

Una prospettiva tra racconto distanziato e presenza fisica che ci auguriamo assuma una forza particolare nei tempi del “distanziamento sociale” che domina ancora la ripresa di un rapporto diretto col pubblico, nel ritorno alla condivisione del teatro con gli spettatori reali, oltre gli streaming e gli schermi dei dispositivi. Distanza e presenza, dunque, per provare a raccontare ed agire questa tragedia efferata, la crudeltà barbarica e da grand guignol che trasuda dalla “lacrimevole storia” di Tito, fatta di vendette incrociate e di contagio mimetico, fino a uno scioglimento che allontani l’orrore e il dolore.
Il lapidario di Scipione Maffei – spazio bellissimo e difficilissimo – rappresenta materialmente ciò che le parole evocano: le are, i frammenti antichi, i marmi sottratti al tempo, nella città più romana dell’Italia settentrionale. Proprio nella piazza di Verona più famosa e trafficata, dove sorge, dall’altro lato, uno dei suoi due grandi, antichi “teatri di pietra”.

 

I giorni 22 – 23 – 24 – 25 luglio 2021, dalle ore 20.15 alle 20.45, in occasione degli spettacoli de L’Estate Teatrale Veronese al Museo Lapidario Maffeiano, la Direzione Musei è lieta di offrire agli spettatori l’opportunità di scoprire la storia del Museo, dell’edificio e di alcune opere che custodisce attraverso la presentazione di un’archeologa. Si prega di voler confermare la presenza su [email protected]

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Foto di Luciano Perbellini

Biglietti

intero € 8,00
Ridotto under 26/ over 65 e studenti ESU € 5,00

PREVENDITE
Box Office Verona – Via Pallone 16
tel. 045 80 11 154

ON LINE sui siti www.boxol.it/boxofficelive/it e www.boxofficelive.it

Infoline e prenotazioni per persone diversamente abili: tel. 045 80 11 154

Nelle sere di spettacolo presso i luoghi di rappresentazione dalle ore 20 (si consiglia l’acquisto in prevendita).
In tutte le sedi di spettacolo saranno applicatele norme di sicurezza post Covid. Si prega di prendere visione del regolamento sul sito del festival.  

Estate Teatrale Veronese