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Dal 19.07 al 26.07 (escluso 24.07)

RACCONTO D’INVERNO

Fiaba per voci e figure

Da THE WINTER’S TALE

di William Shakespeare

adattamento e regia Piermario Vescovo

figure e costruzione Antonella Zaggia

con Manuela Muffatto, Marika Tesser, Antonella Zaggia

costumi Caterina Volpato

luci Nicola Fasoli

produzione Fondazione Atlantide Teatro Stabile di Verona

A sad tale’s best for winter

Una fiaba collocata dentro a un romance, categoria o genere con cui nel teatro elisabettiano si indicava la commedia d’impianto romanzesco.

“Siediti e raccontami una storia”, dice Ermione a suo figlio Mamilio.

“Lieta o triste?” chiede il bambino (peraltro destinato a morire presto).

La madre la vorrebbe più lieta possibile, ma il figlio risponde che una favola triste è più adatta per l’inverno.

Perché l’inverno? La stagione in cui si raccontano le favole, nelle lunghe notti, davanti al fuoco? Oppure una metafora della vita, che attende, dopo vicende oscure e traversie, una redenzione in tempo d’estate?

UNO DEGLI ULTIMI E PIÙ COMPLESSI DRAMMI DI SHAKESPEARE, RIDOTTO CON ASSOLUTA FEDELTÀ ALLE PROPORZIONI DI UNO SPETTACOLO “DA CAMERA” (O “DA TERRAZZA”). SEDICI ANNI, LO SPAZIO CHE SEPARA SICILIA DA BOEMIA, DUE GENERAZIONI E DUE TRIANGOLI, PER TRE ATTRICI-NARRATRICI CHE DANNO VITA A SVARIATE “FIGURE” (BURATTINI) DI UN DRAMMA DEL TEMPO CHE OPPRIME E DEL TEMPO CHE REDIME.

Biglietti in vendita presso:

Teatro Nuovo, piazza Viviani 10, tel. 0458006100 dal lunedì al sabato ore 16.30-19.30, nei giorni di spettacolo fino alle 21.00
Box Office, via Pallone 16, dal lunedì al venerdì ore 9.30-12.30 e 15.30-19.00, sabato ore 9.30-12.30

Biglietto intero € 10 / ridotto € 8

Promozione Abbonati “Il Grande Teatro” biglietto €8

Acquista online

 

Racconto d’inverno fa seguito al nostro Titus. La dolorosissima tragedia romana di Tito Andronico,
presentata nell’ambito dell’Estate Teatrale Veronese 2021 presso il Lapidario Maffeiano, e continua un progetto dedicato a Shakespeare, che intende unire “teatro di persona” e “teatro di figura”, con particolare interesse per i drammi che maggiormente investono il rapporto tra forme narrative e

rappresentazione. Rispetto alle più ampie dimensioni di durata e organico del precedente spettacolo – otto attrici e un attore-narratore – questo presenta, e proprio a partire da un testo di tanta ampiezza come The Winter’s Tale, il respiro di un teatro “da camera”, con un piccolo organico e mezzi essenziali.

Tre attrici, narratrici e manovratrici di burattini, con un cerchio di spettatori raccolto intorno ad esse, danno vita a questa “fiaba con figure”, mettendo in atto il rapporto tra la loro fisicità e presenza e lo statuto dei personaggi- burattini che esse animano, ed investendo soprattutto la combinazione di azione e racconto che struttura gli ultimi drammi di Shakespeare.

In questo, in particolare, la struttura complessa del romance, la commedia-romanzesca, si specchia nella forma semplice della fiaba, richiamata infatti, fin dal titolo, più volte e soprattutto in un triste e pauroso racconto di streghe e folletti evocato, ma solo sussurrato all’orecchio della madre,  senza farcene sentire parola, dallo sfortunato principe Mamilio.

La prima tentazione di mettere in scena questo testo è venuta dalla sua composita varietà, dalla sua inverosimile mescolanza, quasi da repertorio burattinesco, in cui stanno indifferentemente insieme antico e moderno, e l’oracolo di Delfo sta insieme ad Ermione, figlia dell’imperatore della Russia.

Ma più forte e decisiva è sembrata l’irriconducibilità a qualsiasi psicologismo dei personaggi e dei loro improvvisi mutamenti.

Li domina, come un burattinaio, il Tempo che opprime e redime: fools of time appunto, zimbelli del suo gioco, secondo la memorabile definizione di Northrop Frye. E Shakespeare lo fa infatti, direttamente, intervenire in scena, in funzione di Coro, a giustificare il salto nella rappresentazione di ben sedici anni, chiedendo agli spettatori di immaginare di avere nel frattempo dormito,  rivendicando la libertà del drammaturgo di narrare e mettere in scena allucinazioni e fantasmi, tra il passato e ciò che non è ancora, per mostrare un “luccichio del presente” allo spettatore e sottolineare il “divenire opaco” di ciò che immediatamente svanisce quando lo si rappresenta e racconta.

Il presente adattamento in una misura breve di un testo di ampie dimensioni e pieno di personaggi

ha come scopo proprio quello di fare dell’intreccio l’oggetto stesso dello spettacolo, nella scommessa di dare risalto alla costruzione geometrica del testo. Testo che abbiamo abbondantemente tagliato ma di cui abbiamo conservato la struttura e fedelmente tradotto nelle parti scelte, alternando la prosa al verso come nell’originale, per provare, nei limiti del possibile, a conservarne l’articolazione e il respiro.Abbiamo, dunque, privilegiato la struttura triangolare dei due rapporti o delle due storie distanziate dall’intervallo di sedici anni, che coinvolgono due generazioni tra la Sicilia e la Boemia:

la folle gelosia che assale Leonte, nei confronti della moglie Ermione e dell’amico fraterno Polissene, sospettando la bambina da lei partorita essere frutto di un amore adulterino; l’aridità di Polissene, nel passato investito dall’ingiusto sospetto, che si oppone all’amore del figlio Florizel con la pastorella Perdita. In realtà, come dichiara il suo nome, la figlia perduta di Leonte ed Ermione, risparmiata alla morte, come accade appunto nelle fiabe, e portata in fasce dalla calda Sicilia sulle coste immaginarie della fredda Boemia, dove un orso dilania chi l’ha trasportata fin là e un ignaro pastore la raccoglie.

Shakespeare ha scritto nello stesso periodo Il racconto d’inverno e La tempesta, le sue due creazioni ultime e finali, con una scelta opposta e profondamente coerente, concedendosi la massima dilatazione e la massima concentrazione del tempo: sedici anni contro un giorno, di cui si richiamano via via le ore e contano i minuti; la scansione dell’orologio meccanico contro il brusco capovolgimento della clessidra.

La magia di Prospero escogita una vendetta, che si trasforma in perdono, nel tempo che coincide con quello vissuto dallo spettatore a teatro, il gioco spietato e gratuito che investe Leonte, Polissene ed Ermione, e a distanza di una generazione Perdita e Florizel, che fa di essi i burattini del destino, è diretto dal Tempo medesimo, che tutti mette alla prova e dal suo sguardo onnipresente.

Piermario Vescovo